Letture festive – 130. Altrove – 5a domenica del Tempo ordinario – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

5a domenica del Tempo ordinario – Anno B – 4 febbraio 2024
Dal libro di Giobbe – Gb 7,1-4.6-7
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 9,16-19.22-23
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 1,29-39


Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 130

Altrove è parola che può suggerire a con Dio e a senza Dio un dove altro, un dove in altro modo, rispetto a quello nel quale ci si trova qui e ora. Altrove è l’orizzonte non detto ma chiaramente riconoscibile dietro le parole attribuite in questo testo al Giobbe protagonista dell’omonimo libro biblico. E tuttavia la vita umana – così come viene descritta nei suoi giorni in questo dove che è sua quotidianità terrena – risulta così dolorosamente prostrata dalla sventura e così radicalmente ripiegata su sé stessa da non riuscire a concepire neppure, pur desiderandolo, un altrove realmente alternativo e migliore. La vita umana considerata da un Giobbe disincantato non riesce a immaginare un altrove che consenta di uscire dalla tragica alternanza di altri dove che costituiscono, nei casi migliori, solo parziali e temporanei sollievi. L’uomo come mercenario impegnato in un duro servizio può aspettare il suo salario, l’uomo come servo e schiavo può sospirare l’ombra; ma né il salario né l’ombra consentono di trovare libertà dal proprio duro servizio e neppure riescono a garantire un duraturo sollievo. Il tempo è fatto di mesi di illusione e le notti – anziché offrire riposo dalle fatiche del giorno – trascorrono nell’affanno di chi si rigira nel letto in attesa che faccia nuovamente giorno. Neppure del resto viene vissuto positivamente il giorno, questo altrove da cui ci si potrebbe attendere luce rispetto alla tenebrosa notte. Il giorno, infatti, trascorre come il rapido muoversi di una spola che però gira a vuoto in un movimento incessante ma inutile, perché non vi è neppure un filo di speranza dal quale poter ricavare un qualche tipo di tessuto. Il soffio, che nel libro biblico di Genesi infonde nell’essere umano la vita, qui diventa richiamo alla brevità e caducità di un’esistenza i cui occhi sono diventati incapaci di vedere un altrove dove riconoscere il bene. Abbiamo qui un approccio all’esistenza umana tristemente disincantato, sofferto e privo di speranza, un approccio che possiamo ritrovare non solo nei senza Dio – come forse ci si aspetterebbe – ma anzitutto in quel con Dio che è il Giobbe biblico, un Giobbe che non dubita affatto dell’esistenza del Dio con il quale si trova a disputare, in modo aperto e aspro, senza timori reverenziali.

Questo passo, tratto dalla prima lettera ai Corinzi, si presenta come la pagina intensamente autobiografica di un Paolo annunciatore del Vangelo, Vangelo che rappresenta per lui un vero e proprio altrove, divenuto decisivo per la sua intera esistenza, Vangelo che potrebbe diventare decisivo anche per la nostra esistenza di odierni con Dio o senza Dio. Il Vangelo è per Paolo un altrove perché sfugge ai suoi stessi tentativi di definizione. Vanto e necessità, iniziativa e ricompensa, incarico e affidamento, gratuità e diritto, libertà e servitù, tutti e qualcuno, essere debole e farsi debole, guadagno e salvezza, essere al servizio del Vangelo e diventarne partecipi: Paolo collega o – al contrario – oppone queste parole al proprio annunciare il Vangelo, in un modo che è difficile inquadrare chiaramente. Questo, però, serve a far riconoscere il Vangelo stesso come un altrove che si sposta e che ci sposta ogni volta che abbiamo l’impressione di essere riusciti a fermarlo in una definizione o in un concetto. Dal discorso paolino emergono tre elementi che collegano l’altrove al Vangelo: il primo riguarda la forza incontenibile di questo impulso ad annunciare il Vangelo, un impulso avvertito come provenire da un altrove, da una realtà misteriosa,  che gli imprime una forza straordinaria, forza alla quale sarebbe una sventura provare a opporsi; il secondo elemento ha a che fare con l’intrecciarsi e il mescolarsi della propria condizione con ciò che proviene da quell’altrove che è il Vangelo stesso, fino a rendere inseparabile il proprio io originario da quanto proviene appunto da questo altrove evangelico; il terzo elemento consiste nel paradossale dinamismo di attrazione di opposti che porta al prodursi di quell’altrove, di quel dove-in altro modo, che coincide con l’esperienza vissuta del Vangelo: il dinamismo per cui, pur essendo libero, Paolo si è fatto servo; il dinamismo per cui, pur essendo forte di questa forza proveniente dal Vangelo, Paolo si è fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; il dinamismo per cui, pur essendo una singola persona con una specifica identità, Paolo si è fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno; il dinamismo per cui, pur essendo uno che fa tutto per il Vangelo e il suo annuncio ad altri, Paolo intende diventare egli stesso partecipe e destinatario del Vangelo. Come lettori con Dio o senza Dio di questa pagina paolina potremmo lasciarcene interpellare, per provare a capire cosa possa produrre in noi l’incontrarsi tra il Vangelo e l’altrove, a partire forse da quel reciproco altrove che con Dio e senza Dio rappresentano gli uni per gli altri, anche all’interno di una medesima comunità ecclesiale.

Dato il carattere itinerante del Gesù presentato da Marco, l’altrove – quasi funzionasse come punto di attrazione utopico collocato nel futuro – rappresenta una sorta di costante impulso che costringe a un continuo dinamismo i personaggi del racconto evangelico che interagiscono con Gesù, ma in realtà anche noi lettori odierni con Dio o senza Dio, se vogliamo entrare in relazione con la sua figura e con gli spazi che la sua figura abita. Il Gesù che esce dallo spazio religioso della sinagoga per trasferirsi nell’altrove domestico della casa di due discepoli si trova a trarre fuori dalla sua condizione febbrile la suocera di Pietro verso l’altrove di una condizione di salute restituita che rende possibile il servizio. Anche per questo tutta una folla di esseri umani, ammalati o posseduti dai propri dèmoni, si trasferisce dall’altrove dove abita per concentrarsi davanti a una soglia/porta. Quella soglia/porta che è lo stesso Gesù, quella soglia/porta che congiunge e separa gli opposti altrove della salute e della malattia, gli opposti altrove di una conoscenza esatta ma demoniaca e di una verità evangelica che deve risuonare senza però provenire dalle voci che tengono prigionieri gli umani. La verità evangelica, infatti, deve essere annunziata e testimoniata anzitutto a partire dai suoi concreti effetti liberanti e sananti nei confronti di vite umane asservite e ammalate. Ma la porta/soglia delle guarigioni e delle liberazioni non indica la totalità degli altrove abitati da Gesù. Ve ne sono altri due che sono forse ancora più importanti e decisivi, non solo per il Gesù di Marco, ma anche per noi, lettori e discepoli di oggi, con Dio o senza Dio. Il primo altrove è quello del luogo deserto e del tempo che precede la luce del mattino, un altrove dove Gesù cerca solitudine, silenzio e preghiera, sottraendosi alla folla. Anche noi odierni lettori con Dio o senza Dio possiamo avvertire quanto sarebbe importante – benché molto difficile – sottrarci all’affollamento di nostre giornate spesso riempite fino all’eccesso, per fare esperienza di solitudine e silenzio, intese qui come condizioni che consentono raccoglimento e meditazione. Quanto poi a ciò che l’evangelista chiama preghiera, per i con Dio la preghiera cristiana – tanto quella liturgica quanto quella codificata nelle sue molteplici forme attraverso i luoghi e i secoli – è un’esperienza fondamentale del vissuto di fede, spesso sperimentata fin da bambini e proprio per questo bisognosa di continue riscoperte. Per i senza Dio, invece, si tratta di un territorio per lo più sconosciuto e inesplorato, nonostante alcuni tentativi recenti di re-interpretazione di che cosa possa essere una preghiera cristiana – compresa quella liturgica – vissuta da chi si trova nella condizione di senza Dio. Ma tornando al nostro passo evangelico, il Gesù che, sottraendosi alla folla, ha cercato un primo altrove fatto di solitudine e di preghiera viene cercato, a sua volta, dai tanti bisognosi di guarigione e liberazione. Ma a questa ricerca il Gesù di Marco si sottrae nuovamente, ricordando che c’è un secondo altrove che lo attende, un altrove dove forse non tutti lo cercheranno, anche perché non sarà un altrove fatto di immediate guarigioni e liberazioni ma un altrove fatto anzitutto di predicazione, di annuncio, di parola che provoca e che interpella, prima di guarire e liberare. Si tratta di un dove altro, di un dove-in altro modo, che associa la predicazione e la liberazione. E si potrebbe pensare oggi ai tanti luoghi altri – alle tante Galilee intese come territori pagani – dove sono per lo più dei senza Dio quelli che ancora non hanno ascoltato il messaggio evangelico e non hanno ancora potuto sperimentarne la forza liberante.